Sunday, November 11, 2007

Giuseppe Sinopoli - a cura di Sandro Cappelletto

Caro Direttore, cari amici dell’istituto Austriaco, sono veramente dispiaciuto di non essere con voi, ma ieri sera ho commesso una stupida imprudenza alimentare, di cui per tutta la notte e il mattino ho patito le serie conseguenze.

Spero sia soltanto un rinvio e che presto possiamo incontrarci. Scusandomi con voi e con tutti i presenti, vi invio il mio più caro saluto.


Sandro Cappelletto
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Mein Schlaf ist Träumen
(Il mio sonno è sognare)

Questo verso del Sigfrido, che la gran madre Erda canta a Wotan, era, per Giuseppe Sinopoli, tra i più significativi per comprendere il processo compositivo di Richard Wagner.

“Il mio sonno è sognare – il mio sognare è pensare – il mio pensare è governare il sapere”. Sonno-sogno- pensiero: la Tetralogia come prima indagine del profondo, dell’inconscio, affidata al potere di conoscenza e di evocazione della musica. Un’indagine unitaria, un’unica campata narrativa, poetica, musicale, perché, diceva, “è il pensiero che collega, unisce, associa”.

La difesa e la fiducia nell’unità del pensiero appaiono come il più tenace e fertile lascito culturale di Giuseppe Sinopoli. Questa persuasione gli permetteva di raggiungere esiti musicali inconfondibili, ma anche di collegare senza fratture, senza forzature, direi senza precarietà i settori dove la sua figura di intellettuale e artista umanista si è con maggior passione e rigore indirizzata.

Quando gli si chiedeva perché, nel 1982, avesse interrotto la sua attività di compositore, dopo circa quindici anni di lavoro costante e – quasi con il gusto del paradosso – proprio dopo la rappresentazione a Monaco di Baviera, della sua opera Lou Salome, ispirata alla biografia della celebre donna amica anche di Friedrich Nietzsche, Giuseppe Sino poli dava due risposte, diverse e complementari.

“Perché la musica è entrata in una fase di decadenza, una fase ellenista. Smetterò di comporre per almeno vent’anni”. A questa prima riflessione – decisamente critica verso il linguaggio musicale contemporaneo, e alla quale aveva tenuto fede – ne seguiva un’altra: “In un certo modo, ho proseguito la mia attività di compositore attraverso gli studi di archeologia”.

Archeologia come attività che riporta alla luce della conoscenza le tracce di un passato sepolto: ancora, un’indagine del profondo; così come certe sue intuizioni direttoriali riportavano alla luce del primo piano sonoro alcune significativi passaggi delle partiture che prediligeva (la breve cellula della marcia Funebre dell’Eroica, i contrabbassi nel finale del Crepuscolo degli dei, certi abbandoni che emergevano all’interno dell’infuocata concitazione delle opere di Giuseppe Verdi, la tecnica del rubato come smottamento dei tempi e delle pulsioni emotive in Puccini).

Anche nel suo lavoro di compositore il rapporto tra la parte e il tutto appare, almeno nei titoli iniziali, al centro delle sue riflessioni, lasciando a volte prevalere il rigore dell’organizzazione formale, altre invece l’estro più imprevisto.

Possiamo ricondurre questa dialettica ai due compositori che riconosceva come propri maestri, Franco Donatoni e Bruno Maderna. L’armonia e l’invenzione, potremmo dire, parafrasando termini in uso nell’epoca barocca.

Sinopoli inizia a comporre alla fine degli anni sessanta, quando, anche in Italia, è ancora dominante la tecnica di composizione seriale; però Sinopoli è in quegli anni attivo a Venezia, dove Luigi Nono da tempo aveva messo in guardia contro le ossessioni di esattezza e di calcolo dei “geometri catastali della musica”, dove Bruno Maderna non si stancava di ricordare che la musica è colore, che una partitura – e lo sentiamo nelle sue trascrizioni dei mottetti di Andrea Gabrielli – deve risplendere di luci e di ombre, di masse cromatiche come una tela del Tintoretto, di Tiziano, di Veronese.

Così, già nelle serie dei tre Numquid, che possiamo forse considerare come il titolo di esordio di Sinopoli compositore, una costante preoccupazione formale si stempera grazie al ricorso di risorse timbriche molto particolari e connotanti: la famiglia degli oboi, quella delle tastiere, dove accanto al pianoforte sono presenti il clavicembalo e la celesta. Strumenti che evocano, che creano spessori sonori fluidi più che compatti. Anche nella serie subito successiva dei tre Opus – Opus Ghimel, Opus Daleth, Opus Scir – (le prime due lettere dell’alfabeto ebraico e la parola che significa canto) il rapporto tra il rigore numerico – cabalistico – e l’estro consente, in particolare in Opus Daleth, delle soluzioni del tutto personali.

Numquid velim scire: vorrei sapere se, dice Cicerone, interrogando se stesso. E l’esordiente compositore Sinopoli interroga, anche lui, se stesso per sapere quale possa essere la propria strada da seguire. Lingua latina, ebraica, tedesca, come nel giovanile brano cameristico Erfahrungen, sanscrita, come in Sunyata, per quintetto d’archi e soprano (omaggio indiretto ad Arthur Schopenhauier e alle sue letture di testi riferibili al buddismo), e anche, come vedremo fra un attimo, la lingua francese.

Quasi a suggerire riferimenti, memorie, traiettorie diverse. A volte, sembra prevalere la lezione di Donatoni, intesa come supremo esercizio di stile, in altre è un colorismo maderniano a dominare, come in un Pour un livre à Venise, trascrizione di tre mottetti di Costanzo Porta e nel Souvenir à la memoire, ampio lavoro sinfonico e vocale. Qui, la scelta della lingua francese appare quasi un segnale di appartenenza, se l’eleganza delle soluzioni timbriche è un parametro costantemente tenuto presente, anche nel rispetto della visione contrappuntista dolcemente severa di un compositore rinascimentale come Porta. Francese, ancora, per la Symphonie imaginaire, scritta per tre gruppi orchestrali e corali e tre direttori, partitura che ancora attende la sua prima esecuzione, forse oggi non così lontana.

La sua attenzione, come direttore, alle opere di Schoenberg, Berg, Webern non è rimasta senza conseguenze nelle proprie composizioni, quando il nitore del suono di Webern si unisce alla capacità lirico-evocativa di Berg e alla libertà espressionista di Schoenberg. Nel Kammerkonzert, nella Sonata per pianoforte, nella serie dei Tombeau d’Armor, che culmina nel Concerto per violoncello, viene raggiunta una personale cifra espressiva, che mai rinuncia al gusto del suono, che tesse insieme una dirompente carica espressiva e momenti più raccolti e svanenti.

Una cosa soprattutto detestava: l’”artigianato furioso”, inteso come mero esercizio, arida dimostrazione di possesso di una tecnica compositiva. Una musica senza “mania”, senza “anima”, due parole che sono “l’una anagramma dell’altra”, come lui stesso, con geniale intuizione, annota ne I corvi di Apollo, il primo dei due Racconti dell’Isola, scritti a Lipari nel 1995 e pubblicati da Taormina Arte in occasione del primo Festival Giuseppe Sinopoli.

Forse questo predominio della tecnica considerava come il rischio “ellenista” della musica contemporanea, che certo non si poteva oltrepassare resuscitando stili e tecniche del passato: ne aveva troppo rispetto per richiamarli in vita surrettiziamente.

Avrei voluto concludere queste brevi riflessioni con l’ascolto di alcuni momenti della Lou Salomé, l’opera creata a Monaco di Baviera e ambientata nei tempi e nei luoghi di quella cultura letteraria, filosofica e musicale che tante volte aveva indagato come direttore. Negli ultimi anni ne riparlava spesso, e lasciava trapelare il desiderio di rimetterci le mani, di modificarne la struttura drammaturgica, Erano passati quasi vent’anni dal debutto a Monaco e dunque i vent’anni di silenzio compositivo che si era imposto stavano per terminare: certamente le grandi esperienze maturate come direttore, le complessive acquisizioni culturali di questo lungo periodo, si sarebbero coagulate in un esito nuovo.

Sinopoli era un artista che amava rispettare gli impegni e i traguardi che si era posto e rifiutava l’occasionalità, l’approssimazione. Per questo, anche nelle sue partiture ritroviamo quell’impronta personale che gli è appartenuta in ognuno dei settori dell’arte e del pensiero che ha indagato, restituito, creato.

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